“È in aqua et non ha aqua” (Marin Sanudo sull’acqua potabile a Venezia)
È in acqua e non ha acqua
Li vediamo ovunque: nelle corti, nei campi, negli slarghi…e spesso ci sembrano degli abbellimenti architettonici in una città già di per sé spettacolare.
Ma i pozzi a Venezia sono, o per lo meno erano, molto di più.
Genialità ingegneristica al servizio di una città che, come diceva lo storico Marin Sanudo, “è in aqua et non ha aqua“.
I pozzi a Venezia
A Venezia i pozzi erano utilizzati per l’approvvigionamento dell’acqua potabile dato che quella presente in città era ovviamente inutilizzabile per bere o cucinare. Se ne possono contare tutt’oggi oltre 600.
I pozzi a Venezia infatti si distinguevano da quelli tradizionali conosciuti nel resto del mondo perché l’acqua non veniva ricavata accedendo a una fonte sotterranea, bensì tramite la raccolta e il filtraggio dell’acqua piovana.
Già nell’alto medioevo si cominciò a costruire pozzi a Venezia.
Nel 1322 il Maggior Consiglio decretò la costruzione di cinquanta pozzi, che dal 1386 vennero dati in affidamento alla nuova Corporazione degli Acquaioli.
Nel ‘700 i pozzi a Venezia erano migliaia (nell’800 se ne stimavano 7mila), per lo più posti nelle corti private. Quelli pubblici erano infatti “solo” 157.
Ingegneria della Serenissima
Come dicevamo i pozzi a Venezia, a differenza dei tradizionali pozzi (detti artesiani) che permettono di raccogliere l’acqua potabile da fonti sotterranee, funzionavano grazie alla raccolta dell’acqua piovana.
I veneziani sfruttavano la natura argillosa del sottosuolo lagunare che era pressoché impermeabile e, attraverso dei tombini detti “gattoli”, incanalavano l’acqua in una sorta di cisterna.
Per la costruzione di un pozzo era necessario disporre di un’ampia area dove porre la cisterna e i tombini per la raccolta dell’acqua, ma soprattutto di una postazione che non venisse intaccata dall’acqua salata in caso di innalzamento del livello delle maree.
È per questo che molti pozzi venivano realizzati in campi o campielli rialzati, per fare in modo che l’acqua salata non finisse nella vasca di contenimento o negli stessi gattoli di quella potabile.
Questa caratteristica si nota tutt’oggi in alcuni campi a Venezia, come quello di San Trovaso, dei Frari, di Sant’Angelo o dell’Anzolo Rafael.
Le vere da pozzo fungevano sia da parapetto che da supporto per la carrucola che consentiva, di solito alle donne, di raccogliere con i secchi l’acqua dalla cisterna.
La costruzione di un pozzo era estremamente costosa e, data la grande utilità pubblica che queste strutture ingegneristiche ricoprivano per la sopravvivenza della popolazione veneziana, spesso le famiglie nobili ne finanziavano la realizzazione.
Per questo motivo molte vere presentano iscrizioni o bassorilievi relativi alla famiglia che aveva costruito il pozzo.
Se l’acqua invece proprio non vi piace e preferite il vino a Venezia trovate le famose “ombre” o in questa stagione il caldo “vin brulé“.