Più che veci no se pol vegnir (proverbio veneziano)
Più che vecchi non si può diventare
Ogni anno, il 31 dicembre a mezzanotte, siamo soliti fare il conto alla rovescia, stappare una bottiglia di spumante e festeggiare il Capodanno, ovvero l’inizio di un nuovo anno del calendario gregoriano.
Ma, nonostante l’inizio del nuovo anno sia posizionato l’1 gennaio fin dal 46 a.C., nella Repubblica di Venezia veniva festeggiato il 1° marzo e prendeva il nome di Bati Marso (o Bruza Marso).
Il capodanno ai tempi di Cesare
Il capodanno come lo conosciamo noi, ovvero quello che si festeggia il 1° gennaio, risale all’antica Roma al tempo di Giulio Cesare.
Nel 46 a.C. infatti l’allora imperatore e console romano introduce il calendario giuliano e il 1° gennaio diventa così il primo giorno dell’anno.
La festa di capodanno trae origine dai festeggiamenti in onore del dio romano Giano, da cui prende il nome il mese di gennaio.
More Veneto
Nonostante in buona parte dell’Europa ai tempi della Repubblica di Venezia si utilizzasse il calendario giuliano prima e quello gregoriano poi (dal 1582), nella Serenissima l’anno partiva a marzo.
Per questo motivo le date dei documenti venivano affiancate nei documenti dalla dicitura “more veneto” (cioè “secondo l’uso veneto”). Con i mesi di gennaio e febbraio “more veneto” si indicavano dunque i mesi dell’anno successivo gregoriano (gennaio 1601 “more veneto” era il gennaio 1602 gregoriano).
Bati Marso
L’inizio dell’anno nella Serenissima era quindi il 1° marzo, riprendendo l’antica usanza di far iniziare l’anno con l’inizio della primavera e con il risveglio naturale della vita, cosa che i romani facevano fino all’avvento del calendario giuliano.
L’origine molto antica di questa usanza è dimostrata dalla denominazione dei mesi così come li conosciamo al giorno d’oggi. Se infatti marzo era considerato il primo mese dell’anno settembre era il settimo, ottobre l’ottavo, novembre il nono e dicembre il decimo (i nomi dei mesi ne ricordavano la collocazione nel calendario).
Il Bati Marso però non era una festa che si festeggiava solo il primo giorno dell’anno (Cao de ano), ma anche nei giorni precedenti.
Era infatti tradizione che i giorni precedenti si andasse in giro per le strade con pentole, coperchi e altri strumenti musicali fatti in casa battendoli e facendo una gran confusione.
Questo era il modo per scacciare l’inverno e il freddo e propiziare l’arrivo della bella stagione: da qui il nome di Bati Marso.
Il Bati Marso tramandato
La tradizione del Bati Marso è continuata nei secoli e in alcuni casi è arrivata quasi fino ai nostri giorni.
In alcune parti del Veneto si usa ancora pronunciare questa filastrocca:
Vegnì fora zente, vegnì (venite fuori, venite)
vegnì in strada a far casoto, (venite fuori a far confusione)
a bàtare Marso co coerci, tece e pignate! (venite a batter Marzo con coperchi e pentole)
A la Natura dovemo farghe corajo, sigando e cantando, (alla natura dobbiamo far coraggio, urlando e cantando)
par svejar fora i spiriti de la tera! (per svegliare gli spiriti della terra)
Vegnì fora tuti bei e bruti. (venite fuori tutti, belli e brutti)
Bati, bati Marso che ‘l mato va descalso, (Batti, batti Marzo, che il matto gira scalzo)
femo casoto fin che riva sera (facciamo confusione fino a sera)
e ciamemo co forsa ea Primavera! (che chiamiamo con forza la primavera)
Vegnì fora zente, vegnì fora! (venite fuori, venite fuori!)
I botti di Capodanno
Alla tradizione del battere le pentole, nei secoli si è aggiunta quella del “far i sciòchi col carburo” (ovvero veri e propri botti di capodanno provocati facendo scoppiare l’acetilene, prodotto unendo il carburo di calcio con l’acqua) per “far fora Febraro“.
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