“Sìe ore ea cresse, sìe ea càea” (modo di dire veneziano)
“Per sei ore l’acqua cresce, per sei ore cala”
Sono le 22.00 di giovedì 3 novembre del 1966 quando a Venezia l’acqua comincia a salire al di sopra delle rive delle fondamente e dai tombini delle calli.
Sono giorni di pioggia incessante e scirocco a Venezia, ma come i nonni dicono sempre ai nipoti l’acqua cresce per sei ore e poi per sei ore cala.Il 4 novembre alle 5 del mattino, però, l’acqua non inizia a calare, continua a crescere, e lo farà per altri 4 cicli. Gli argini che proteggono Venezia dal mare cedono e l’acqua dell’Adriatico diventa tutt’uno con la laguna.
Le coltivazioni vengono devastate
Orti e vigneti del litorale del Cavallino sono i primi a subire la furia del mare, poi Sant’Erasmo, l’orto di Venezia, viene sommerso da onde alte fino a quattro metri.
Le reti e le barche dei pescatori di San Piero in Volta e Pellestrina, dove il litorale è più assottigliato, sono in balia della marea.
L’Aquagranda arriva a Venezia
Superate le ultime barriere naturali l’Aquagranda arriva a Venezia e nel pomeriggio del 4 novembre raggiunge l’altezza record di 194cm.
Le famiglie che vivono negli oltre 4mila appartamenti al piano terra sono costrette a salire ai piani superiori perdendo tutto.
Luce, telefono e gas non funzionano. I veneziani si fanno luce con torce e candele e non possono cucinare.
Frigoriferi e dispense sono sommersi dall’acqua e in molti si ritrovano quindi anche senza nulla da mangiare (anche per il fatto che molti negozi erano chiusi in quei giorni per la festa di Ognissanti e per l’anniversario della Vittoria del 1918).
Si mangia quel che si può
Racconta Gigio Zanon, gestore della trattoria l’Aquila Nera a San Bortolomio, che mentre l’acqua cominciava a salire si trovava nel suo locale e, accortosi dell’impossibilità di arginare il disastro nella sua attività (le damigiane di vino in cantina rovesciate, l’integrità del cibo nei frigoriferi messa a rischio dall’acqua, e il forno della cucina ormai completamente inondato), prese con se qualche pagnotta e delle salsicce appese al soffitto e tornò a casa per vedere la situazione. Il suo pranzo del 4 novembre fu proprio a base di quelle pagnotte vecchie di qualche giorno e luganeghe crude.
Raccontano gli impiegati dell’Enel che in quelle ore, come Gigio, anche moltissimi altri gestori di bar, ristoranti e supermercati telefonarono allarmati per i loro frigoriferi e per l’integrità del cibo.
L’acqua scende, Venezia è in ginocchio
Verso sera il vento di scirocco si ferma quasi di colpo e l’acqua, come se improvvisamente si fosse ricordata il corretto flusso delle maree, si ritira.Venezia è in ginocchio. La luce impiega giorni per tornare e la popolazione non sa dove reperire il cibo per pranzo e cena. Gli aiuti alimentari arrivano fortunatamente anche dall’estero (visto che l’Italia è alle prese anche con l’alluvione di Firenze e l’esondazione dell’Arno). La Somalia invia a Venezia banane e carne, dal Brasile e dalla Costa D’Avorio arriva il caffè, dalla Polonia le patate, dalla Francia i biscotti e dall’Argentina carne congelata.
La città si rialza e si ricompone con l’aiuto di tutti, ma l’Aquagranda, la più imponente inondazione che la città ricordi a memoria d’uomo, resterà per sempre impressa nella storia e nei ricordi di chi c’era.
In quei giorni a Venezia si festeggiava la “Festa dei Morti”. Tradizione vuole che in quei giorni si mangino le tipiche fave.