Co no ghe xè pi polenta, xè bone anca e cróstole. (proverbio veneziano)
Quando non c’è più polenta, son buone anche le croste.
Nella cultura veneziana tramandare i racconti, le tradizioni e le ricette per via orale è cosa alquanto diffusa. Gli anziani raccontano storie ai tavolini delle ostarie, i nonni parlano del passato ai nipoti accompagnandoli a scuola e ognuno ha un pezzetto di conoscenza in tasca di cui vuole renderti partecipe anche solo quando ti incrocia per strada o si siede accanto a te in vaporetto.
Questi racconti si aprono quasi sempre con: “In tempo de guera…” e narrano di giochi d’infanzia fatti con pochissimi mezzi, di lavori che non esistono più, ma molto spesso anche di ricette “povere” che permettevano a famiglie spesso numerose di sfamarsi nonostante le scarsissime risorse in possesso alla maggior parte dei cittadini.
Come ci ricorda un proverbio veneziano dell’epoca “I fasioi e la polenta xè la carne de la gente poareta” (i fagioli e la polenta sono la carne della gente povera), e quindi molte famiglie si sfamavano con questi alimenti molto sostanziosi e poco costosi.
Per darci un po’ di gusto in più, però, utilizzavano alcuni stratagemmi, come tociare la polenta su un pesce appeso ad uno spago sopra la tavola per fare in modo che si insaporisse. È così che nasce la ricetta della “poenta e renga”.
“Poenta e renga”
Come dicevamo, appunto, i più poveri attaccavano la renga (aringa) con uno spago al soffitto sopra la tavola, coprendola con la carta oleata durante la giornata. Quando veniva tolta alla sera i commensali potevano tociare (intingere) la polenta sull’aringa.
Quando c’era un’occasione speciale (che per molti era il pranzo della domenica) l’aringa veniva tolta dallo spago, tagliata a pezzetti e condivisa tra tutta la famiglia. Dopo una settimana a pregustarne il gusto, finalmente si poteva assaggiarne un pezzo.Famiglia a tavola tocia la polenta sull’aringa
Molti racconti su questa ricetta da “tempo di guerra” si ritrovano anche nella cultura contadina veneta. A Vicenza e Verona per esempio si mangiava “poenta e scopeton”, un pesce molto simile all’aringa (alcuni sostengono sia il maschio proprio dell’aringa) , a cui era dedicata anche una filastrocca: “Polentina amabile, scopeton teribile, me parea imposibile de poderte magnar”.
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