“Ogni malatia ga la so erba, basta conosserla” (Proverbio Veneziano)
“Ogni malattia ha la sua cura naturale, basta conoscerla”
La primavera è per antonomasia la stagione dei malanni fisici. La natura che rifiorisce scatena le allergie, i primi caldi fanno svestire e il tempo instabile colpisce all’improvviso.
Antistaminici, aerosol, aspirine e sciroppi non sono sempre esistiti e per questo i nostri concittadini di una volta utilizzavano rimedi del tutto naturali (con alterni risultati di successo) mettendo in piedi una vera e propria medicina veneziana.
Aprile non ti scoprire
Ogni primavera ci ripetiamo di coprirci bene e non farci ingannare dal caldo Sole della mattina quando usciamo di casa. Tassativamente dopo qualche giorno ci troviamo con mal di gola, tosse, raffreddore e torcicollo.
Sfredor e amalà che stranùa. Per il raffreddore il rimedio, soprattutto per i bambini, era quello di prendere un pometto coto de quei boni (mela cotta) e con un cucchiaino separare la polpa dalla buccia. Mettere la polpa su un piattino con un po’ di olio di mandorla e darlo da mangiare all’ammalato.
Per gli adulti invece la cosa da fare era stare a letto e sudare. Per farlo bisognava mangiare sugoli di polenta con un po’ d’olio, oppure una cipolla cotta con vino bianco e zucchero (bisognava mangiare la cipolla e bere anche il vino di cottura).
Tranquilli comunque, che un ammalato che starnutisce, per la medicina veneziana, è già fuori dalla malattia, e se è ammalato a morte, non morirà quel giorno.
Mal de gola. Per il mal di gola il rimedio era molto semplice: masticare alcune foglie di erba racèla (carciofo selvatico), ingerirne la polpa e sputarne il resto. Con questo rimedio sembra si guarisse subito.
Cataro e tosse. Per sconfiggere tosse e catarro la medicina veneziana prevedeva la cottura di cinque spicchi d’aglio sotto la cenere, li si pestava e poi li si “mete sul stomego che no toca la boca“.
Colo incordà. La prima modalità per sconfiggere il torcicollo aveva matrici “religiose”. Si andava a messa e quando il prete diceva “Sursum corda” (in alto i cuori) si rispondeva girando il collo: “E che el coeo se me descorda”.
In alternativa si prendeva olio di nerbo di bue caldo e lo si spalmava sul collo.
Ocio a cosa mangi
Come noi sappiamo bene anche i veneziani stavano attenti a non mangiare troppi cibi dolci per non rovinare i denti. A loro detta però, i liquori servivano a conservarli in salute e fortificarli.
Ogni dente che ci si faceva togliere, secondo la medicina veneziana, erano due anni di forza che si perdevano.
I veneziani facevano attenzione anche quando mangiavano i finocchi. Se infatti erano andati a male vigeva il detto: “Xè megio cavarse un ocio, che magnar un vermo de fenocio” (Meglio togliersi un occhio che mangiare un verme di un finocchio).
La primavera non porta però solo malanni fisici ma anche tante opportunità. Ecco gli itinerari del gusto che potete fare a Venezia